TITOLO: Absence. Il gioco dei quattro
COLLANA: Lain YA
PREZZO (CARTACEO): 15,00€
PREZZO (EBOOK): 6,99€
TRAMA: Viviamo anche attraverso i ricordi degli altri.
Lo sa bene Faith, che a sedici anni deve affrontare l’ennesimo trasloco insieme alla madre, in dolce attesa della sorellina. Ecco un ricordo che la ragazza custodirà per sempre. Ma cosa accadrebbe se, da un giorno all’altro, quel ricordo non esistesse più? E cosa accadrebbe se fosse Faith a sparire dai ricordi della madre?
La sua vita si trasforma in un incubo quando, all’improvviso, si rende conto di essere diventata invisibile. Nessuno riesce più a vederla, né si ricorda di lei. Non c’è spiegazione a quello che le è accaduto, solo totale smarrimento.
Eppure Faith non è invisibile a tutti. Un uomo vestito di nero detta le regole di un gioco insidioso e apparentemente folle, dove l’unico indizio che conta è nascosto all’interno di un biglietto: 0°13′07″S 78°30′35″W, le coordinate per tornare a vedere.
Insieme a Jared, Scott e Christabel – come lei scomparsi dal mondo – la ragazza verrà coinvolta in un viaggio alla ricerca della propria identità, dove altri partecipanti faranno le loro mosse per sbarrarle la strada. Una corsa contro il tempo che da Londra passerà per San Francisco de Quito, in Ecuador, per poi toccare la punta più estrema del Cile, e ancora oltre, verso i confini del mondo.
Primo volume della trilogia di Absence, Il gioco dei quattro porta alla luce la battaglia interiore più difficile dei nostri giorni: definire chi siamo in una società troppo distratta per accorgersi degli individui che la compongono.
Cosa resterebbe della nostra esistenza, se il mondo non fosse più in grado di vederci?
Quanto saremmo disposti a lottare, per affermare la nostra identità?
Un libro intenso e profondo; una sfida moderna per ridefinire noi stessi.
Una storia per essere visti. E per tornare a vedere.
Ho adocchiato
questo romanzo fin da prima della sua uscita: a colpirmi al cuore è stata la
copertina nera, lucida, un classico della collana Lain Ya, che mi ha ricordato,
con tanta nostalgia, i miei anni alle medie e la mania di Twilight.
Chiariamolo subito
però: con Twilight non c'entra niente, anzi meno di niente, nessun elemento in
comune, ma come in altri casi, è stata quella scintilla che mi ha fatto dire
"io devo leggere questo libro!".
Absence non è
perfetto: ha molti pregi, e diversi difetti, ma sinceramente, dopo la lettura,
il mio pensiero è rimasto comunque "io devo leggerne anche i
seguiti".
Partiamo dai pregi:
l'idea di base è ottima. Ok, direte, non è il massimo dell'originalità
immaginare che degli esseri umani diventino di colpo invisibili: la storia
dell'Uomo Invisibile ha radici ormai nell'alba dei tempi. Tuttavia, in questo
caso, l'invisibilità non è un superpotere, ma una maledizione, accompagnata
anche dalla rimozione dei ricordi dei propri cari. Faith e gli altri
protagonisti non si limitano a una semplice sparizione ottica: qualcuno li
rimuove completamente dal mondo, cancellando persino i loro account social, per
poi coinvolgerli in una sorta di gioco in giro per il pianeta, passando di
nazione in nazione, con indizi, prove da superare e ricompense.
Chi fa ciò?
Sconosciuto. Perché? Bella domanda.
Capite perché ho
adorato le premesse di questo romanzo.
Anche i personaggi
principali mi sono piaciuti: l'autrice infatti riesce a rendere in maniera
realistica gli stati d'animo di quattro adolescenti, dalle vite magari non
banali ma tutto sommato tranquille, divenuti di colpo invisibili e gettati in
un gioco più grande di loro. Insomma, a tratti potranno apparire anche
lamentosi, ma chi non lo sarebbe se tutto d'un tratto i propri cari si
dimenticassero della sua esistenza e fosse costretto a prendere istruzioni da
un tipo poco raccomandabile al soldo di uno sconosciuto Illusionista?
Passando ai difetti
quello che mi ha turbato di più è quell'amore al limite dell'istantaneo che
sembra affliggere i protagonisti di questo romanzo. Capisco che sono diventati
invisibili per il resto del mondo, e che gli unici altri ragazzi visibili
cerchino di ucciderli ad ogni capitolo, però non mi sono sentita coinvolta dal
rapporto creatosi tra Faith e Jared, anzi, l'ho sentito molto finto, distante,
quasi la loro storia fosse stata creata per dare una vena rosa a un romanzo
che, secondo me, avrebbe tranquillamente potuto vivere senza.
Altro elemento che
non mi ha convinto pienamente è lo stile: la penna dell'autrice infatti alterna
passaggi evocativi, magistralmente scritti a parti stringate, non tanto
sintetiche, lo sapete ho un debole per chi scrive in maniera asciutta e pulita,
quanto quasi infantili. Non è un difetto enorme e non affligge tutto il
romanzo, ma qualche volta ho avuto l'impressione di essere tornata una
ragazzina delle medie che legge libri destinati solamente a un pubblico di
quella età...
Invece ho
apprezzato la scelta di usare i quattro punti di vista dei protagonisti per il
prologo e l'epilogo e, anzi, avrei quasi preferito che l'autrice applicasse
questa tecnica all'intera storia, anziché narrarla solo dal punto di vista di
Faith. Con un po' di attenzione per evitare una narrazione troppo
confusionaria, secondo me si sarebbero potute sfruttare appieno le potenzialità
del romanzo, dato che vedere le vicende attraverso gli occhi di un solo personaggio limita un po' una storia
corale come questa.
Il finale è molto
tranquillo, lasciato sì in sospeso, ma senza devastanti cliffhanger che rendono
le conclusioni dei libri che fanno parte di una saga una vera tortura: insomma
il seguito inizierà dolcemente da dove ci eravamo lasciati.
Dunque? La mia
valutazione è di tre stelline e mezzo: nonostante qualche difetto, e qualche
cosa che avrei cambiato qua e là, devo ammettere che Absence. Il gioco dei
quattro non mi è affatto dispiaciuto. Spero che i seguiti, che da lettrice
vorrei vedere pubblicati il prima possibile, siano all'altezza di questo primo
volume, se non meglio!
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