Pagine

domenica 21 febbraio 2016

Blogtour: Angel Inside - Ilaria Militello. Presentazione primo capitolo

Ciao a tutti! Il post di oggi fa parte del blogtour organizzato per  l'uscita di Angel Inside, romanzo di Ilaria Militello: vi presenterò il rpimo capitolo del romanzo, sperando vivamente che faccia breccia nei vostri cuoricini. Per quanto mi riguarda, l'ho già scaricato, ma gli ultimi esami mi hanno completamente impedito di leggere qualcosa di diverso dai libri di ingegneria (ma chi me l'ha fatto fare...) ma conto di iniziarlo il prima possibile.

TITOLO: Angel Inside
AUTORE: Ilaria Militello
COLLANA: Selfpublishing
PREZZO (EBOOK): 0,99
TRAMA: Quella vacanza in Toscana con la famiglia Aurora nemmeno voleva farla. Contava di passare i giorni a leggere, ma sua sorella Miriam e sua cugina Debora l’hanno trascinata con loro.
Lei non è tipo da discoteche, ragazzi e sole in spiaggia: è una ragazza semplice e tranquilla, che ama leggere e vestirsi in modo poco appariscente.
Ma per Aurora quella non sarà una semplice e tranquilla vacanza. Conoscerà due ragazzi… uniti da un mistero e dal nome di una donna tatuato sulla pelle.
L’attende una storia d’amore, che si intreccerà a un fantasy intrigante, proprio come i libri che Aurora ama leggere.
«So che è una cosa avventata, so che è poco che usciamo assieme ma sento di amarti così tanto, che è come se ti amassi da anni. Tu sei quella che fa per me, sei la mia donna e non voglio separarmi da te»


CAPITOLO 1


Finalmente dopo un viaggio di quattro ore siamo giunti a destinazione. E’ mezzanotte spaccata quando papà ferma l’auto nel cortile della pensione Marina. Per dieci giorni soggiorneremo nel piccolo bilocale che i miei hanno affittato a Marina di Massa. Il mare è a pochi passi da noi, basta attraversare lo stradone e ti ritrovi già sulla spiaggia. Sento chiaramente il rumore dell’acqua.
Entriamo dal piccolo cancelletto di legno, che ti permette di accedere al minuscolo giardino e alla porta d’ingresso. Un posto tranquillo e ben tenuto.
Appena entriamo in casa mi butto sul letto, felice di poter finalmente dormire comoda, senza le gambe di mia sorella Miriam addosso e i gomiti di mia cugina Debora piantati nelle costole.
«Ehi che fai, dormi? Non vieni a fare il bagno di mezzanotte?», mi chiede mia sorella euforica.
«Non ci penso nemmeno. Ho sonno», dico rigirandomi dall’altra parte e nel dormiveglia sento mia madre, mia sorella e mia cugina andar via. Mi rilasso e mi addormento all’istante. Sono esausta e dormire in macchina non è il massimo della comodità, soprattutto se hai due persone che si prendono tranquillamente tutto il posto.
Il giorno dopo Miriam e Debora sono già sveglie alle otto e non vedono l’ora di correre in spiaggia e sfoggiare così i loro nuovi costumi e le numerose sedute di lampade che si sono fatte tanto per non arrivare al mare come due mozzarelle.
«Avanti Aurora muoviti!», sbuffa per la terza volta Miriam.
«Ma che fretta hai? Sono le otto», dico avvolta ancora nelle coperte.
«Sì ma prima che ci vestiamo, facciamo colazione e tutto, arriviamo in spiaggia a mezzogiorno»
«Ma se tu non vai in acqua che fretta hai?», ripeto nuovamente tirandomi su le coperte fino al naso.
«Infatti io ho detto in spiaggia. Dai pigrona!», sbotta tirandomi via le coperte.
«Che strazio che sei! Va bene mi alzo, almeno la smetterai di urlare». Calcio la coperta che ancora mi copre i piedi, scendo dal letto infilandomi in bagno e dopo la colazione vengo trascinata da Miriam e Debora in spiaggia. Stendo gli asciugamani e mi ci siedo sopra mentre le guardo spogliarsi come se fossero a uno spettacolo in un night club: lentamente e cercando di attirare l’attenzione dei ragazzi, anche se non ne avevano bisogno. Scuoto la testa e sospiro, mi chiedo perché debbano mettersi sempre in mostra. Debora mostra un fisico da urlo, asciutto e con un costume che le sta stretto per quanto è minuscolo. Sicuramente l’ha comprato di due taglie in meno, lo fa sempre, con ogni cosa. Miriam si slega i lunghi capelli scuotendo la testa, come di solito si vede fare nei film, il sole li fa brillare rendendoli ancora più biondi e lucidi. Mia sorella è più piccola di me di due anni e nostra cugina è fra noi due. Siamo cresciute assieme. Inseparabili da sempre. Miriam e Debora hanno lo stesso carattere: esuberante, festaiolo e appariscente. Adorano lo shopping, le borse, i vestiti e le scarpe. Sono le classiche ragazze. Io sono totalmente diversa da loro. Più tranquilla, taciturna e alle volte adoro star sola. Mi piace leggere, amo la natura e le cose semplici.
Io sono quella da trascinare alle feste, quella da spingere fra le braccia di un ragazzo. Quella che loro due vogliono salvare da una vita da zitella eremita, così mi definisco loro. Che poi io non ho mai detto di voler essere una zitella, solo aspetto che arrivi quello giusto senza buttarmi fra le braccia di tutti i muscolosi fighettini che ti offrono da bere. Ma per loro due, sono un caso disperato.
Sfoggiando il mio modesto costume e la mia carnagione bianca mi metto comoda sull’asciugamano e inizio a leggere.
«Oh santo cielo non dirmi che te ne starai qui a leggere», dice mia cugina sbuffando e portando dietro l’orecchio una ciocca dei suoi capelli neri.
«Non ci trovo nulla di male», dico facendo spallucce.
«Dimenticalo! Avanti posa il libro e vieni con noi», mi dice tirandomi per un braccio.
«No, non ho voglia e poi qualcuno deve badare alle borse».
«Ma sta arrivando la mamma», sbotta Miriam. «Ci penserà lei. Vero mamy, guardi tu le borse?»
«Certo andate», dice mia madre posando la sua borsa di paglia a terra. La fulmino con lo sguardo e poi vengo trascinata via.
«Cavoli due lampade potevi anche fartele dico io, no?!», mi rimprovera mia cugina.
«Odio fare le lampade e poi ti rovinano la pelle», dico in mia difesa seguendole sulla sabbia rovente.
«Ma che dici Aurora. Io è da quando ho quindici anni che me le faccio e guarda com’è bella la mia pelle», dice orgogliosa di sé.
«Vedrai quando sarai vecchia mia cara», ribatto con il muso. Odio il caldo e il sole. Ma come può essere possibile che già al mattino faccia così caldo?
«Piantala. Tu sei già una vecchia. Sembri la nonna», dice ridendo Miriam. Debora fa eco alla sua risata.
«Non sono vecchia, mi piacciono altre cose», sbotto infastidita.
«Noiose», ribatte mia sorella. Non rispondo più, tanto sarebbe  un ping-pong di risposte. Quante volte abbiamo fatto questa discussione. Siamo troppo diverse ed entrambe vogliamo avere ragione.
«Allora dove andiamo?», chiedo poco entusiasta.
«Al bar. Ovvio!», risponde mia cugina. Che domanda idiota, vero. Dove si va quando si vuole trovare dei ragazzi? Al bar, tipico di loro e delle ragazze come loro.
Andiamo al chiosco della spiaggia e lì c’è già la sfilata di ragazzi e ragazze abbronzati che non si sprecano a provarci l’uno con l’altra. Svogliata, mi siedo a un tavolo mentre Miriam e Debora si girano attorno per cercare dei ragazzi. Io cerco il cameriere.
«Che volete da bere?», ci chiede Debora pronta a schizzare dalla sedia.
«Una coca», rispondo ed entrambe si alzano. Iniziano così anche la loro a sfilare davanti ai ragazzi ancheggiando e ridendo per attirare l’attenzione e l’odio delle altre ragazze. Sicure di sé sfidano gli sguardi invidiosi ed io, sotto sotto le ammiro. Non riuscirei mai ad avere un coraggio simile. Preferisco rimanere seduta e nell’anonimato.
Aspetto il loro ritorno e mentre mi guardo attorno qualcuno si avvicina a me. Mi volto e vedo un ragazzo alto, abbronzato, dagli occhi verdi e i capelli neri.
«Ciao», mi dice sorridendo.
«Se pensi che sia una delle tante che sta aspettando in fila, stai sbagliando. Non m’interessa entrare nella tua lista di conquiste estive». Il ragazzo ride di gusto.
«Che tipino. Mi piaci, posso?», mi chiede e senza aspettare la mia risposta si siede.  Penso al perché me lo ha chiesto se aveva già intenzione di sedersi.
«Ti ho vista arrivare con le altre due», mi dice indicandomi con un cenno della testa verso mia cugina e mia sorella.
«Ah sì, mia sorella Miriam e mia cugina Debora. Mia sorella ha diciotto anni e mia cugina diciannove», dico guardandomi in giro. E’ chiaro che è interessato a loro e si è seduto solo per avere informazioni.
«E tu?», mi chiede.
«Ho vent’anni», rispondo con poca empatia.
«Come mai non sei super abbronzata anche tu e non sei lì a farti vedere?».
«Non mi piace. Non sono così».
«E come sei?», mi chiede curioso. Lo guardo. Perché ha tanto interesse per me? Che gli importa di come sono?
«Scusa ma non so nemmeno il tuo nome», dico guardandolo.
«Ah vero, scusa. Mi chiamo Leonardo, ma chiamami Leo», dice porgendomi la mano.
«Ehi Leo, che fai?», chiede una sua amica super abbronzata e con un enorme tatuaggio sulla gamba che raffigurava una sirena.
«Sto parlando con questa ragazza…ehm…», dice guardandomi e capisco che vuole sapere il mio nome. Sospiro.
«Aurora», dico.
«Sì, Aurora», dice lui sorridendo e la sua amica mi guarda alzando un sopracciglio, proprio come si guarda un pesce puzzolente.
«Bè dai vieni gli altri vogliono fare una partita a beach volley».
«Vieni anche tu?», mi chiede il ragazzo mentre l’amica lo trascina via dalla sedia per un braccio.
«No, sono negata», rispondo felice di ritornare sola. Lui alza le spalle e se ne va trascinato dalla ragazza.
«Aurora, chi era?», mi chiede subito curiosa Debora sedendosi dove poco fa c’era il ragazzo.
«Un certo Leonardo», rispondo con meno entusiasmo del suo e prendo la mia coca.
«Raccontaci dai, che voleva?».
«Nulla di che Miriam», dico e racconto di quella breve conversazione.
«Allora andiamo al campo dai!», esulta Debora.
«A fare che? Non sono capace a giocare».
«Tu guardi e noi giochiamo», mi risponde lei.
«Ma non abbiamo un invito e non sappiamo chi sono», ribatto.
«Tu hai l’invito e puoi estenderlo a noi due. Dai muoviti!», dice alzandosi e di nuovo mi trascinano sotto il solo. Sbuffo, è inutile combattere con lei, quando si mette una cosa in testa non la smuovi. E’ chiaro che vuole fare colpo sfoggiando i suoi anni di pallavolo. Comunque non ho molte alternative, giusto? Devo andare con loro, anche se il mio unico desiderio è tornare sotto l’ ombrellone con il mio libro.
Raggiungiamo il campo dove Leonardo e altri ragazzi stanno discutendo sul campo e su come formare le squadre.
«Avanti io non ho voglia, che palle sono tre giorni che non facciamo altro che giocare a pallavolo! Voglio andare a farmi un giro. Nico dai!», dice una ragazza dai capelli neri raccolti e un costumino rosso.
«Ma che palle che sei Bea. Devi sempre essere l’unica a rompere», le dice la ragazza con la sirena tatuata sulla gamba.
«Io e Nico andiamo a farci un giro, vero ‘more?», ribatte lei con voce da ochetta, prendendo sotto braccio un ragazzo dai capelli castani e un tribale sulla spalla.
«Dai Nico non ti far trascinare sempre. Non sei capace di decidere da te?», si lamentò Leonardo.
«Ma fatti gli affaracci tuoi rompipalle», sbotta la ragazza furiosa, stringendo il braccio del ragazzo che sospira.
«Ehi modera il linguaggio», le dice la tipa con la sirena fulminandola con lo sguardo, prendendo le difese di Leonardo. Sembra quasi sia il suo ragazzo, o forse lo è sul serio.
«Siete dei rompipalle. Nico andiamo!», dice la ragazza furibonda.
«Siete dei rompipalle», l’imita Leonardo prendendola in giro. Lo guardo e questa cosa mi da fastidio, è lo stesso atteggiamento che hanno mia sorella e mia cugina nei miei confronti.
«Dai Leo non fare lo stronzo», gli dice Nico e lui lo guarda male.
«Senti sai che ti dico Nico? Vai a farti un giro , noi viviamo anche senza te, vero Leo?!», dice la ragazza con la sirena posandogli una mano sulla spalla. I due si guardano per un po’, seri, poi Leo si gira dandogli le spalle.
«Sì, vero!», gli dice serio.
«Avanti non te la prendere», gli dice Nico, ma Leo si è già allontanato. La ragazza che hanno chiamato Bea tira via dal gruppo Nico e la ragazza con la sirena va da Leo.
«Lascialo perdere. Gli è andato in pappa il cervello da quando esce con quella stronzetta. Tanto dureranno poco, lo sai!». Leo alza le spalle e poi mi vede. Si avvicina e mi sorride.
«Ehi, hai cambiato idea? Ci farebbero comodo due giocatrici in più», disse sorridendo e dando un rapido sguardo verso Miriam e Debora, poi riporta subito lo sguardo su di me.
«Sì, certo. Noi ci siamo», dice Debora mettendosi davanti a me. Leo la guarda perplesso e poi si sporge verso di me.
«Giocano loro al mio posto, io passo», dico indicandole. Non intendo buttarmi sotto il sole a giocare, tanto meno a beach volley, sono negata in questo sport.
«Siete capaci a giocare?», chiede la tipa con la sirena avvicinandosi.
«Cara io sono campionessa. Gioco in una squadra di pallavolo», dice con spavalderia Debora.
La tipa la guarda poco convinta. «Vedremo», dice poi e gli occhi di mia cugina si allargano e sbuffa dalle narici incrociando le braccia al petto.
«Allora sei sicura di non voler giocare Aurora?», mi chiede Leo.
«Lei? Ma figuriamoci, la mia sorellina neanche sa che cosa sia giocare a palla», dice ridendo Miriam. La fulmino con lo sguardo. Leo si avvicina a me e mi chiede di nuovo se voglio giocare.
«No, davvero, sono una frana», rispondo scuotendo la testa.
«Okay, allora ci guarderai e, mi raccomando, tifa per me», mi dice Leo facendomi l’occhiolino e sorridendo. Sorrido a mia volta ma solo per cortesia e annuisco. Se pensa che io sia una di quelle ragazze che urlano il nome da fuori campo e che esultano per un punto segnato ha sbagliato, non sono una cheerleader.
Mi siedo su di una panca appena fuori il campo mentre loro iniziano a decidere le squadre. Miriam finisce con Leonardo e la ragazza con la sirena, mentre Debora è nell’altra squadra. Iniziano a giocare e dopo le prime battute mi annoio già. Appoggio il gomito sulla gamba e appoggio il mento sulla mano guardandomi attorno alla ricerca di qualcosa di interessante, ma il mio sguardo, inspiegabilmente finisce sempre su Leonardo. Solo ora noto che ha un costume a pantaloncini che gli arrivano fino alle ginocchia di colore rosso. Non è muscoloso ma ha un bel corpo. Guardandolo, noto che anche lui ha un tatuaggio, sulla spalla, un angelo che tiene una pergamena, sopra c’è un nome, allungo il collo e leggo il nome Maria. Guardo istintivamente la ragazza che ha la sirena tatuata sulla gamba e anche nel suo tatuaggio leggo lo stesso nome. Non c’è dubbio, è la sua ragazza. Ma allora perché aveva attaccato bottone con me? Se la sua storia à così importante da tatuarsi addirittura il suo nome perché mi sorrideva con dolcezza, oppure mi sono immaginata tutto? Vuole solo essere mio amico e io ho frainteso. Ma perché ogni volta che mi guarda mi fa l’occhiolino allora? Vuole solo prendermi in giro, chissà le risate che si faranno quei due stasera alle mie spalle.
-Che idiota!-, penso schifata. Mi alzo e ritorno verso l’asciugamano dove c’è mamma. Debora e Miriam tornano assieme, io non intendo starmene lì a fare lo zimbello di nessuno.
Mi siedo sul mio asciugamano. Mamma sta leggendo una rivista di gossip con la schiena rivolta verso il sole, un grosso cappello nero e gli occhiali da sole. Papà è sotto l’ombrellone che dorme.
Prendo il libro che volevo leggere e lo apro ma il sorrisino falso di Leonardo mi torna sempre in mente; sbuffo cercando di concentrarmi.
«Tutto bene?», mi chiede mamma senza staccare gli occhi dalla rivista.
«Sì», rispondo soffiando.
«Okay, ho capito», dice chiudendo la sua rivista e sfilandosi gli occhiali mi guarda. «Che succede?»
«Niente. Davvero», ripeto scuotendo la testa.
«Non voglio chiedertelo un’altra volta e non farti pregare. Che hai?», domanda seria.
«I ragazzi sono stupidi», dico rassegnata. E’ impossibile non cedere a mia madre, sa essere insistente come Miriam.
«Alle volte sì», mi dice alzando le spalle.
«Sempre», ribatto.
«Chi ti ha fatto o detto cosa?», mi chiede lei.
«Niente è solo una constatazione», dico.
«Sai una volta quello scemo di tuo padre che ha fatto?!». Scuoto la testa. «All’inizio, quando ci siamo conosciuti, voleva attirare la mia attenzione e voleva farmi ingelosire, per farlo ha baciato mia cugina».
«Scusa, questo che c’entra?», chiedo aggrottando la fronte.
«Che se fosse venuto a dirmi che voleva baciarmi gli avrei detto di sì. Lo ha fatto per testare quanto mi interessasse. Era per farti capire che alle volte gli uomini fanno cose stupide. Girano attorno alle cose prima di arrivare al dunque, solo perché hanno paura di un rifiuto e sai, hanno una reputazione da difendere. Si complicano la vita per niente», mi spiega tornando a leggere la sua rivista. A quel punto mi chiedo a che cosa gira attorno Leonardo. E’ fidanzato. Lascio perdere e mi rimetto a leggere. Non vale la pena capire le idiozie dei ragazzi.

«Ma perché te ne sei andata via?», mi chiede per la terza volta Miriam mentre con le borse in spalla ritorniamo verso casa.
«Mi annoiavo», rispondo nuovamente.
«Ci siamo divertite come pazze e Leo è un gran fico», dice Debora. Non so perché ma sentire quella affermazione mi fa mancare di un battito il cuore.
«Chissà chi è sta Maria che ha tatuata», dice Miriam. Sgrano gli occhi, non sapevo che aveva notato anche lei il suo tatuaggio.
«La sua ragazza. E’ la tipa con la sirena tatuata. Anche lei ha il nome Maria», dico con rabbia.
«Ma chi la tipa dai capelli mossi castani?», mi chiede Debora. Annuisco.
«Ma figurati se Leo caga una così. Non ha nulla», ribatte altezzosa lei.
«Che vuoi dire? Come puoi conoscerlo e chi ti da il diritto di chiamarlo Leo? Da quanto lo frequenti? Tu non sai chi è lui», dico sempre più rabbiosa. Mi da sui nervi che lo chiami Leo e la sua sicurezza. Non so perché ma in quel momento la sfrontatezza di mia cugina mi fa veramente arrabbiare.
«Ehi, che ti prende?», mi chiede Miriam preoccupata, posandomi una mano sulla spalla.
«Nulla», dico cercando di rimanere calma. Mi sono agitata troppo e senza alcun motivo, nemmeno io so nulla di lui e non posso pretendere di esserne gelosa, poi, da quando sono gelosa di un ragazzo? Scuoto la testa e sbuffo. Il sole davvero deve avermi dato alla testa. Debora riprende a parlare di Leo e io non ho voglia di sentirla, attraverso senza guardare e una macchina nera inchioda a un soffio da me. Dalla mia gamba al paraurti passava giusto un dito. Sgrano gli occhi e fisso il cofano lucido dell’auto mentre sento il cuore battermi in gola. Miriam e Debora urlano dallo spavento.
«Ehi ma non guardi quando attraversi miseriaccia?», dice un ragazzo scendendo dall’auto. Ha i capelli castani corti, folti e portava dei Ray-Ban che nascondevano i suoi occhi.
«Io…ecco…non…». Balbetto come una scema. Mi sono presa uno spavento coi fiocchi.
«Sei per caso dislessica?», mi chiede il ragazzo con arroganza.
«Ehi maleducato ma non hai visto che si è spaventata? Per poco non la investivi!», gli urla mia sorella, posandomi piano le mani sulle spalle.
«Io?! E’ lei che attraversa senza guardare», dice in sua difesa il ragazzo e non potevo dargli torto.
«Scusa. Hai ragione. Non guardavo»¸ dico riprendendomi dallo spavento. Qualcosa della sua voce mi attira e mi incuriosisce. Sento il forte desiderio di voler vedere i suoi occhi.
«Impara allora se non vuoi morire», mi dice più pacato.
«Ma sai che sei uno stronzo!», gli urla addosso mia sorella, ma lui non la degna nemmeno di uno sguardo. Mi fissa attraverso i suoi occhiali neri e mi sento improvvisamente a disagio. Non posso vedere il suo sguardo, mentre lui può chiaramente leggere nel mio.
«Andiamo Aurora. Lascia perdere sto cafone», dice tirandomi per un braccio mia sorella. Mi lascio trascinare continuando a guardarlo. Lui risale sull’auto e riparte via deciso.
«Che cafone», sbotta mia sorella e fa sbattere il cancelletto fiondandosi a raccontare tutto ai nostri genitori. Inevitabilmente mia madre inizia a preoccuparsi e ad affannarsi, mio padre prende a imprecare e io fulmino con lo sguardo Miriam.
Per tutto il tempo della cena mio padre parla dei giovani pazzi che stanno sulla strada, dei genitori incoscienti che gli lasciano prendere la patente e delle autorità che quando servono non ci sono mai, senza sapere che era sua figlia in torto e non lui. Io non ho guardato mentre attraversavo. Quel ragazzo misterioso e dalla pelle chiara non c’entrava un fico secco. Quel ragazzo che ora non riuscivo a togliermi dalla testa non ha fatto nulla di male.
Penso a lui anche mentre Miriam e Debora discutono su cosa mettersi. Io non ho voglia di uscire figuriamoci di perdere ore a decidere cosa mettermi, ma visto che praticamente mi costringono, decido di indossare un paio di jeans neri, una canotta bianca con una farfalla nera e blu e le All Star nere.
«Vuoi uscire così?», mi chiede mia cugina guardandomi disgustata.
«Sì», rispondo secca. Odio quando critica il mio modo di vestire. Non mi sarei mai messa la minigonna bianca che indossava lei e quella canotta di due taglie in meno, che lascia scoperta mezza pancia e gli zatteroni fatti di sughero. Da quell’altezza se fosse caduta avrebbe fatto un bel tonfo.
«Dai andiamo non facciamo tardi», dice Miriam spingendoci fuori. Sa che tanto sono irremovibile sull’abbigliamento. Minigonne e abiti non fanno per me. Lei indossa un abito stretto e corto, con tacchi alti tutto in colore blu elettrico. Destinazione: discoteca all’aperto.

Nessun commento:

Posta un commento